mercoledì 2 dicembre 2009

Chiedimi se sono felice


C’era una volta una bambina tanto curiosa. Guardando il cielo stellato voleva toccarlo e vedere cosa si nascondeva oltre: voleva diventare un’astronauta. Poi iniziò a viaggiare con i suoi genitori, scoprì l’Egitto e le sue Piramide. La curiosità si trasformò in ricerca: voleva diventare un’archeologa. Passarono gli anni e un giorno alla festa di compleanno di una sua compagna di classe scoprì la musica Pop e le Spice Girls. La voglia di scoperta si mutò in ambizione di successo: voleva diventare una pop stars. Per fortuna la bambina diventò un’adolescente sognatrice. Quei sogni, quando andava al cinema, in quello schermo così grande, diventavano realtà: voleva diventare regista. Quei sogni sembravano rimanere tali e la giovane ragazza doveva intraprendere una strada più sicura e realistica. Non abbandonò i suoi sogni ma li mise un po’ da parte e si iscrisse all’Università: voleva diventare psicologa. 

Ieri quella bambina si è laureata. Festeggiando oggi, insieme a tutti gli altri bambini che insieme a lei hanno raggiunto quell’obbiettivo, ha capito che non importa tanto cosa diventerà da grande: vuole solo essere felice.

domenica 21 giugno 2009

Così è (se vi pare)


Da sempre sono stata una ricercatrice e sostenitrice della Verità oggettiva. Il mondo è pieno di persone che cercano di nasconderla e camuffarla per propri interessi. C'è il fidanzato che non vuole far arrabbiare la propria ragazza, la moglie che non vuol perdere il marito, il politico che per fare gli interessi dei suoi finanziatori (o semplicemente i suoi) finge di fare il bene degli elettori, il venditore di qualunque cosa che ti promette una cosa ma poi ne acquisti un'altra perchè altrimenti perderebbe il lavoro e così via... In questo mondo dove nulla è gratis e tutto ha un prezzo anche le bugie hanno un peso monetario.

Pirandello sosteneva che la Verità non è oggettiva ma che ognuno ha la propria Verità. Presupposto un po' rubato alla psicologia che sosteneva l'impossibilità di studiare la realtà percettiva oggettiva perchè ognuno di noi ne ha esperienza tramite la soggettività dell'esperienza umana (ex. per me la mela rossa ha un sapore ma potrebbe non avere lo stesso sapore per te... come si fa a saperlo?).

Per mio modestissimo parere la vedo come una arresa invece dei fatti di fronte alle parole. I fatti sono le prove della menzogna e portatori di verità. Oggi di fronte alla verità data dalle prove si preferisce ascoltare un fiume di parole e ci si accontenta di questo. Veniamo così bombardati dalle parole e ci dimentichiamo di confrontarle con il vero reale. Che è uno e UNO soltanto. Nel momento in cui ci arrendiamo a tutto questo allora il nostro mondo diventa davvero un mondo soggettivo... ma il soggettivo di un'altro.
p.s. Sembra un post piccolo e senza un significato preciso ma so che i più attenti capiranno...

giovedì 16 aprile 2009

Fantasmi


Siamo esseri che viviamo nell’incertezza. Non sappiamo cosa ci sarà dopo quella scelta, oltre l’ennesima porta aperta, dietro un ostacolo superato. Percorriamo la nostra strada pieni di paure e speranze… cerchiamo di evitare le prime per continuare a sognare le seconde. 

La mia più grande paura, ironia della sorte, sono i fantasmi. Esseri che hai pianto, hai sofferto per la loro assenza, pregato per un loro ritorno ma che poi inesorabilmente hai lasciato alle spalle per andare avanti nel tuo cammino.

Ero andata a Torino per lavoro. Erano parecchi mesi che non ci tornavo. Ne avevo approfittato per vedere alcune amiche che negli anni avevano costruito la loro vita in questa città. Alcune amicizie hanno bisogno di assidue cure per continuare a fiorire e ad essere belle. Invece quelle vere, che sovente risalgono ai tempi del liceo, sono come le piante grasse, ti possono ferire ma basta poco per farle rivivere.

Tornavo da una cena con alcune amiche. Decisi di tornare a piedi per assaporare la freschezza della sera e godere della città illuminata artificialmente. Indossavo uno di quei vestiti lunghi di velluto color blu scuro. Li compro perché sono fantasticamente belli ma poi finisco per indossarli raramente, li trovo troppo eleganti e mai adatti all’occasione. Mancava poco al mio hotel quando presi una stradina che attraversava un piccolo giardino. Gli alberi erano colmi dei frutti della primavera che il vento muoveva appena facendo salire quel profumo di vita che fa battere i cuori e risvegliare gli ormoni. Stavo ancora ripensando alla serata quando ad un tratto lo vidi. Era seduto su una panchina in fondo alla strada che tagliava in due il parchetto. Le braccia reggevano la testa appoggiandosi alle gambe. Piangeva. Era lì fisicamente ma la sua testa era altrove. Fumava ma in modo automatico, come fosse un tic nervoso. Mi bloccai. L’ansia cominciò a circolare dentro di me lasciandomi lì, ferma, senza la lucidità di pensare e agire. La paura seguì da lì a poco. Tremai sentendomi tremendamente ridicola. Ero impotente di fronte al fiume delle mie incontrollabili emozioni. Perché proprio io? Seppur serena ero fragile, con nessuno al mio fianco e nel cuore un sentimento sepolto vivo anni fa. Lui non mi aveva visto ma la sola sua presenza sulla mia strada richiedeva il mio aiuto. Nei sogni tornava nei miei momenti di difficoltà ma nella realtà le parti si invertivano. Vorrei avere la forza e il coraggio di incontrare il mio fantasma, affrontarlo e andare finalmente oltre. Andare in suo soccorso e aiutarlo. Quel giardino seppur fiorito conteneva il cadavere del nostro amore che non sa morire e darsi pace. 

Non ero pronta ad affrontarlo. Mi convinsi che, se ci sarà un’altra volta, sarò più forte. Da codarda quale sono chinai il viso e tornai sui miei passi. Feci il giro largo convinta di essere passata inosservata. Preferisco pensare a quello che poteva essere piuttosto che soffrire per quello che succederà. Qualcun’altra percorrerà quella strada e non temendolo saprà consolare il suo animo affranto.


Butto a terra l’ennesima sigaretta. Le forze per fare qualunque cosa mi mancano. La rabbia mi aveva fatto camminare per tutta la città fino ad abbandonarmi su quella panchina in quel giardino abbandonato a se stesso. Mi lascio qui sofferente ascoltando le mie emozioni urlare e i ricordi ferire quando ad un tratto un rumore di tacchi mi sveglia. Alzo gli occhi e la vedo camminare via. Sembra un angelo vestita con quell’abito lungo e scuro. Vorrei chiamarla, abbracciarla, dirle quanto le voglio bene e quanto mi manca ma non posso farlo. Io per lei non esisto più, io per lei sono morto.

lunedì 23 febbraio 2009

I'm a Hero


Seduta al bancone del bar della stazione osservo il frenetico viavai delle persone. Curiosamente sembrano tutte uguali, se non le conoscessi, potrei pensare che non abbiano un’anima, una loro storia e una loro vita unica che vale la pena di essere salvata.

Sono le 9.15.  Il ghiaccio sul mio martini si sta pian piano sciogliendo e ormai il limone ha donato tutto il suo sapore. M’incuriosisce sempre lo sguardo compassionevole che trovo nel barista quando ordino il mio aperitivo di mattina. La gente vive di apparenza e nel loro mondo sono un’alcolizzata che beve a tutte le ore e non dorme da una vita. Quando ero piccola, dormivo. Ero piena di sogni e desideri, poi sono cresciuta e li ho esauriti. Che senso ha dormire se non si può sognare? Già la realtà è un tale incubo… 

Il momento del martini è sacro. È uno dei pochi momenti della giornata in cui sono io a fermarmi. Ammiro il mio lavoro e progetto per il futuro. Chi sarà il prossimo? Chi può essere salvato? Una coppia mano per la mano sta partendo per un week end fuori porta. Si amano, presto si sposeranno e avranno un bambino. Non hanno bisogno del mio aiuto. Un ragazzo nell’angolo sta attendendo la sua ragazza che studia fuori sede. Anche se finalmente la rivedrà, ha la faccia triste. Vorrei andare da lui e dirgli che soffrirà in futuro ma poi sarà felice, alcune pene vanno vissute e non posso fare nulla per evitarle. Si siede una ragazza di fianco a me e ordina caffè e cornetto. Ci scambiamo un sorriso quasi complice. Lei non lo sa ma rompendole il finestrino, ho evitato che l’altra notte si uccidesse sulla statale.  Finisco il mio martini e le auguro buona giornata. Camminando fra la gente mi riesce meglio di sentire i loro pensieri e sentimenti. Ogni vita vale la pena di essere salvata a patto che non ricada nello stesso errore in futuro. Non posso donare soldi a chi poi li sperpera, la vita a chi ucciderà e l’amore a chi tradirà.  “Sbagliare è umano, perseverare è diabolico” è il mio motto e intendo applicarlo senza distinzione alcuna. Questa è la mia legge e gli uomini seppur diversi sono uguali davanti ad essa.

Ecco il mio uomo. Lo vedo mentre entra in stazione. Mi fermo e mi giro facendo finta di osservare il tabellone delle partenze, so perfettamente che sarà lui a venire da me. Il suo treno è in orario, partirà fra 10 minuti. Sento ogni suo singolo passo finché voltandomi, non è proprio di fianco a me. Alto con i capelli castani è un discreto uomo d’affari sulla trentina. Ha un completo con giacca e cravatta di colore grigio scuro, una ventiquattrore nera e lo sguardo diretto anche lui al grande tabellone.


“Hai per caso una sigaretta da offrirmi?” chiedo io per pura formalità conoscendo ovviamente la risposta.


Lui annuisce senza troppa convinzione e mi porge un pacchetto di Camel con una sola sigaretta dentro.


“Cavoli è l’ultima. Mi dispiace prenderti proprio l’ultima sigaretta. Sicuro di potermela offrire?” chiedo io con fare melodrammatico.


“Certo. Altrimenti avrei risposto di no. Dai, insisto!” risponde lui con rara generosità.


Prendo la sigaretta e gli auguro buona giornata. 

Lui ora si dirigerà verso il treno. Per un gioco di coincidenze e ritardi che ricordano vagamente Sliding Doors, una volta salito non troverà scompartimenti liberi e così noterà Giulia che tutta sola soletta sta leggendo un libro. Giulia ha due anni in meno di lui. Scrive per un giornale e sta andando a trovare suo padre che, cagionevole di salute, si trova fuori città. In quel viaggio i due si conosceranno, innamoreranno e saranno felici. Lei finalmente ha trovato il suo compagno di vita e lui, per lei, smetterà di fumare prima che il fumo lo uccida. Penseranno entrambi che il loro incontro fortuito sia dovuto alla fortuna o al caso.

Io non sono un angelo, cupido o una specie di Dio. Inosservata mi aggiro in questo mondo che non mi appartiene per rimediare, guarire, salvare l’uomo da se stesso. 

Spengo la sigaretta ormai finita e volo via sola perché tra tutte queste anime perse, nel mio essere speciale non ho nessuno con cui condividere questo enorme potere.

sabato 14 febbraio 2009

San Valentino


Imbottigliato nel traffico della Capitale è faticoso non innervosirsi. Difficile sapere quante di queste persone bloccate sulla tangenziale è uscita stasera perché davvero voleva passare una serata romantica con la loro dolce metà e quanti invece, spinti semplicemente da una festa consumistica inutile, l’ha fatto per far felice lei. Inoltre, come tutte le feste che si rispettino, ha la capacità di amplificare e mettere sotto la lente d’ingrandimento ogni nostro sentimento e stato d’animo. I felici e innamorati saranno sempre più felici e innamorati mentre i soli e tristi saranno invasi da una malinconia più forte che mai.

Sul sedile di fianco al mio c’è seduto un simpatico orsacchiotto di peluche che sorridente tiene in mano un palloncino rosso a forma di cuore. Lo so, sembra banale, ma lei impazzisce per queste cose. 

Una volta arrivato parcheggio,suono il campanello e salgo le scale. Alla porta, purtroppo ad attendermi, c’è la madre. Visivamente affannata perché in ritardo, mi accoglie con un sorriso e si dispiace di non potersi trattenere con me ma il compagno, l’ennesimo dopo la rottura con il marito, arriverà a momenti. Inutile dire che del compagno non me ne freghi molto.

Sara è in camera sua che si mette il cappotto ed è prontissima per uscire. Le chiedo scherzando:


“Ma per quale principe azzurro ti sei fatta così bella?”

“Stasera io sono cenerentola e tu il mio amato principino. Visto che vestito?” risponde lei dondolandosi allegra.


Io senza parole l’ammiro estasiato. Riesce sempre a stupirmi e a farmi innamorare di lei come la prima volta. E’ da 7 anni che è entrata nella mia vita, finché certe cose non le provi e non le vivi non puoi mai sapere quanto bene ti può dare un amore. 

Salutiamo sua madre sempre più occupata nell’agghindarsi a festa e usciamo.

In macchina, al suo fianco, il viaggio è tutta un’altra cosa. Cantiamo le nostre canzoni preferite. Lei divertita gioca allegramente con il peluche a cui prontamente è stato dato un nome: Cucciolo, perché piccolo e tenero. Lo fa saltare, ballare e persino parlare in modo buffo.

Ogni volta che andiamo al cinema il programma è tanto semplice quanto gustoso: pizza + coca-cola + popcorn + film. Non è il massimo per la salute ma è un vizio settimanale che ci prendiamo volentieri.

Così ci troviamo seduti al tavolo con i nostri pezzi di pizza e una mega coca-cola. Lei mi parla un po’ della scuola, del compagno di classe che le fa la corte ma non le piace e di quanto sia migliorata a pallavolo. Mi ritrovo sollevato nel sapere che lei non ricambia i sentimenti però sempre geloso della sua presenza costante in classe sua. I maschi son pur sempre maschi: mai fidarsi di loro. 

Il film prescelto è d’avventura, simpatico e per niente pesante. Gli horror e le commedie sentimentali sono banditi dal nostro accordo. Le prime da lei, le seconde da me. Nonostante i film paurosi siano eliminati, lei riesce a “saltare” sulla sedia per ogni rumore improvviso cosa che la rende fantasticamente dolce e tenera. 

Usciti dal cinema, decido di fare una piccola aggiunta al nostro gustoso programma:


“Ti andrebbe ancora un gelato prima di andare a casa?” Chiedo convinto di una risposta affermativa.


Non so se per la concessione di un gelato, magari per il film appena visto o per la sera particolare di festa lei si gira e mi dice:


“Papà, ti voglio bene!”


Io sorrido, la prendo in braccio e la porto a prendere il mega gelato.

Non è la festa a rendere speciale un amore, solo l’amore può rendere speciale una festa.

lunedì 9 febbraio 2009

Cosa non si inventano...



Hanno inventato i confini, hanno inventato le religioni, hanno inventato la burocrazia, hanno inventato i documenti, hanno inventato la comunità europea, hanno inventato il lavoro regolamentato… per poi inventare la parola clandestino, extracomunitario per sfruttarli, maltrattarli e infine cacciarli.                                                

Un ragazzo che nasce a Milano ha gli stessi diritti e doveri di uno che nasce a Bari piuttosto che a Rabat o Tirana. Ha diritto di avere di cui mangiare, dormire, istruzione, giustizia e assistenza sanitaria e il dovere di rispettare la gente e la terra che gli offre queste cose, sia che essa sia la sua gente o che si trovi in un’altra cultura. Questo vale sia per il milanese, che per il barese, marocchino e infine albanese.

L’uomo dovrebbe inventare “cose” per rendere la vita migliore non per togliere libertà e creare odio. 

Bei tempi in cui gente come Marconi, Edison, i fratelli Wright e Leonardo Da Vinci inventavano cose davvero uniti all’umanità…


“Me dicen
el clandestino

Por no llevar papel

Pa' una ciudad
del norte

Yo me fui a trabajar

Mi vida la deje

Entre Ceuta
y Gibraltar

Soy una raya
en el mar

Fantasma
en la ciudad

Mi vida va prohibida

Dice la autoridad”


Clandestino – Manu Chao

lunedì 19 gennaio 2009

Politik


Mi sono fottutamente innamorato. Lei Molly io Duckie. Più un soprannome il mio, che un nome. Me lo sono inflitto per ricordarmi la follia di amare l’unica persona che forse mai potrà ricambiare tutto questo. L’unica persona che voglio al mio fianco. L’unica che mi capisce veramente. La madre che vorrei per i miei figli. L’unica a cui non posso rinunciare. L’unica davvero importante. La mia migliore amica Molly appunto…

Era una di quelle giornate dove a Roma piove e sembra non smettere mai, quando piove talmente forte che la pioggia acquista un fascino nuovo perché prevale sull’uomo e sulla città. Io seduto nella penultima fila dell’aula magna fissavo la cattedra con aria assente, da chi è lì solo per non sentirsi in colpa.  

Lei entrò tutto di un colpo. Mi girai solo distratto dal rumore brusco della porta.  Non la notai subito.  Notai solo i suoi capelli e i suoi vestiti bagnati dall’acqua mentre lei cercava di sistemarli alla meno peggio.  Sarei sicuramente tornato ai miei pensieri se lei, in un'aula decisamente non affollata, non avesse deciso di sedersi proprio di fianco a me. Le donai un sorriso e lei si presentò.

“Piacere: Molly. Scusa ma detesto gli ombrelli e odio Genetica.”

Non che io amassi particolarmente la materia, ma da quel giorno lei si sedette tutte le lezioni vicino a me. Passarono gli esami, i semestri, gli anni. Lei mi raccontava tutto.  Ero la spalla su cui piangere quando si sentiva sola. Il compagno da chiamare per una birra o un concerto imperdibile. L’amico che l’ha consolata quando tra lei e l’uomo che amava è finita. Io, invece, tenevo tutto dentro. Avevo paura di rovinare il nostro rapporto e attendevo invano il momento perfetto per realizzare il mio sogno. Ma arriva un giorno in cui ti accorgi che non hai più niente da perdere. Quel giorno fu la sua laurea. Sapevo che non era sua intenzione continuare i suoi studi a Roma, anche se temendo la mia reazione, aveva cercato di nascondermelo.

Arrivai tardi alla sua festa per via del lavoro al Pub. Nonostante l’ora, casa sua era ancora gremita di persone più o meno ubriache che ballavano e parlavano allegramente. La cercai tra le camere, ignorando i vari colleghi lì riuniti per l’occasione.  Finalmente la vidi. Quel vestito a fiori le donava una bellezza nuova che lei raramente mostrava.  Era vistosamente brilla. La vidi flirtare con un ragazzo mai visto prima forse poco più grande di lei. La rosa bianca mi cadde dalle mani. Non so cosa mi prese. Non seppi resistere a quella scena. Non mi andava di fingere. Non quella sera. Tornai per strada, dove potevo urlare e sfogare la mia sofferenza con la rabbia. Presi a camminare senza fermarmi. Pensavo a tutti i momenti belli passati insieme, alle risate, i nostri film preferiti, i concerti passati a ballare in modo stupido, i viaggi in macchina con il volume dello stereo a tutto volume, il nostro cantare per strada,  il cornetto alle 3 prima di andare a casa e le serate passate con birra e sigaretta. Ci pensai proprio quando arrivai al nostro muretto, di fronte al Colosseo.  Ci salii sopra. Intorno a me potevo sentire i rumori di una Roma che si svegliava alle prime luci dell’alba. Chiusi gli occhi.                                           

 Give me strength, reserve control                                                                          Give me heart and give me soul                                                                             Give me love give us a kiss...

La nostra canzone. Quelle parole e quelle note si ripetevano nella mia testa come un disco rotto.  Ero bloccato dalla paura e pieno di pensieri. Immaginavo come sarebbe stato un suo bacio, noi due mano nella mano, lo svegliarmi al suo fianco la mattina e l’abbracciarla sussurrandole appena “Ti amo”. Stavo perdendo tutto. Il timore di perderla la stava allontanando da me e io non potevo fare altro che affrontare la mia ossessione che in quella notte decisi di trasformare in follia.

 And give me love over, love over, love over this                                                       And give me love over, love over, love over this…

Saltai giù e corsi. Corsi forte per non farmi raggiungere dalla paura che, presa alla sprovvista, avevo lasciato sorpresa su quel muretto. Corsi a perdifiato per le vie antiche della città. Ero sollevato, felice perché mi stavo levando il peso di un amore nascosto. Stavo finalmente affrontando la mia più grande paura dietro la quale si trovava la vera felicità. Se non ti butti nel vuoto come puoi volare? Come puoi dire di aver vissuto davvero se prima non sei disposto a rischiare il tuo bene più grande per il tuo sogno? Correvo trascinato dall’adrenalina che mi scorreva nel sangue. Davanti a me solo lei e il veloce conto alla rovescia ti passi, metri e strade che ci separavano. Volevo esploderle davanti con tutto il mio amore per poi lasciarle, in pace la scelta di prendermi una volta stella. Non sentivo più la fatica, la paura, la malinconia, non mi importava più di nulla. Arrivato al suo portone volevo solo abbandonarmi a lei, e morire tra le sue braccia.

Il resto non è il caso che ve lo racconti perché è storia.

Ogni Duckie ha il suo giorno.