domenica 1 maggio 2011

50 giorni


Buffo come tutto sia iniziato. Ricordo esattamente il momento in cui sei entrato nella mia vita. Eri una persona tra altre centinaia eppure è bastato un contatto e ti ho riconosciuto. Se penso a tutta la serie di circostanze che ci hanno portato a conoscerci potrei pensare che sia stato il destino ma noi non amiamo chiamarlo così.

Abbiamo passato serate a guardare film, ognuno chiuso nella propria stanza a km di distanza e, senza rendercene conto, ne abbiamo creato uno tutto nostro…
Quel giorno mi svegliai prestissimo. Quando sono agitata accade spesso. Cercai di rilassarmi guardando un film. Piansi alla fine. Aveva un finale davvero triste. Il tempo scorreva lentamente, l’ora del nostro primo appuntamento si avvicinava e ogni minuto che passava mi sentivo sempre peggio. L’ansia pian piano prendeva ogni mio singolo organo interno e lo faceva lavorare al contrario così da non lasciarmi persino mangiare o bere. Sapevo che sarebbe accaduto ma ero comunque restia a prendere farmaci per placarla. Mi faceva star male ma, in un certo senso, mi faceva sentire anche viva. Era il lato oscuro di quello che provavo e senza mi sarei sentita vuota. Con grande sforzo mi preparai e, già in ritardo, partii per Torino.
Era una domenica di fine maggio. Per fortuna c’era un sole pallido su tutta Torino che allontanava, ancora per qualche giorno, quelle soffocanti giornate afose estive. Nell’auto suonavano i Perturbazione, come spesso accadeva in quel periodo:

"Non ho capito mai
amo l’oceano
perché dietro a un tesoro c’è un naufragio..."


Parcheggiai la macchina e ti vidi.Eri seduto sulle gradinate di Palazzo Nuovo e fissavi il vuoto aspettandomi. Portavi quegli occhiali da sole grandi a goccia che vanno tanto di moda. Ricordavi un po’ Al Pacino in quel film dove cerca di fare il buono, di tenersi fuori dal giro per realizzare il suo sogno e, proprio ad un passo dal realizzarlo, viene ucciso. Io senza farmi vedere mi sedetti al tuo fianco. Come se nulla fosse iniziammo a parlare del più e del meno. Ero agitata e i miei tentativi di mascherarlo andavano a vuoto. Ero un Woody Allen che, cercando di far colpo, finisce per sbagliarle tutte. Andammo quel giorno a far visita al museo del Cinema: tra locandine, filmati, pezzi da collezione.. insomma immersa nel mondo che tanto amavo un po’ riuscii a rilassarmi e ad ammirarti. Eri una persona gentile, sicuramente molto timida e calma, sapevi essere simpatico con intelligenza e, per fortuna, non eri invadente. Quando arrivammo al salone centrale rimasi impressionata dai colori caldi e dalla sua grandezza. C’era una pedana che saliva tutta intorno finendo in cima. Ai lati c’erano delle piccole stanze che sembravano dei piccoli cinema del secondo dopoguerra. Nessuno dei visitatori sembrava curarsene tanto. Ricordo di aver pensato quanto sarebbe stato bello sedersi lì a guardare un pezzo di un film e infine baciarti. Sarebbe stato così semplice e romantico. Purtroppo la semplicità non era una nostra qualità e quel piacere fu rimandato ad una mattina d’estate quando ormai rinviare non era più possibile. 


Inutile negarlo. La nostra storia fu un disastro. Di quelli che non ti aspetti perché pensi, laddove ci sia attrazione e sentimento, non possa che andare bene. Eppure il poter cantare a squarciagola canzoni d’amore senza quel peso sul cuore, sentire il tuo abbraccio, una notte, mentre dormivo, le telefonate, le attese… il vivere e sentirsi vivi, finalmente, dopo tanto. Sembra banale ma per una come me, che della solitudine ne ha fatto una felice condanna, è stato speciale vivere anche solo l’illusione di un amore.
Anche solo per 50 giorni. 

Perturbazione - Il Palombaro

mercoledì 20 aprile 2011

Il futuro sostenibile


Avevo, quasi 5 anni fa, pubblicato in un altro blog questo post:

Avete mai sentito un bambino che vuole fare l’impiegato o l’operaio o la segretaria da grande? Tutti futuri attori, pompieri, archeologici, astronauti, giornalisti, calciatori… e poi che succede? Alcuni direbbero che si cresce e si diventa più maturi, responsabili (anche noiosi) e si puntano mete più “realistiche”; e quindi vedi un cantante famoso allo sportello della posta o un ballerino della scala di Milano ristrutturare la tua casa poco fuori città. Li vedi tutti belli sorridenti mentre ricordano cosa si pensava di poter essere nel mondo degli adulti. Io mi chiedo ma perché ad un certo punto della vita si è smesso di sognare? Perché non si è coltivato quel sogno almeno per un po’?…magari scegliendo una scuola idonea o anche solo pensandoci fino all’ultimo che fosse possibile? Noi ci lamentiamo che la felicità è qualcosa di difficile da raggiungere, ma se non dimentichiamo cosa vuol dire sognare, non lo saremo mai veramente.
Io un giorno comprerò la dreamworks e voi?

“Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.” – Pablo Neruda”

Lust For Life - Iggy Pop


Oggi per caso ci ricapito (mi ero pure dimenticata di averlo fatto) e mi trovo questo bellissimo commento che voglio condividere con voi. Ringrazio di cuore l'anonima autrice e spero che qualcuno ne tragga profitto.

Chissà se lo leggerai...
comunque questo post rispecchia esattamente quello che penso.
Non nego che possano esistere degli impedimenti oggettivi (volevi scalare le montagne e ti hanno dovuto amputare un braccio; volevi diventare un cantante e ti hanno rimosso le corde vocali; volevi essere puntuale ad un appuntamento, ma ti hanno investito; vorresti mangiare della pasta decente ma sei a Londra ;) )
ma affermo con tutte le mie forze che nella stragrande maggioranza dei casi, l'unico motivo per cui ti blocchi a metà strada verso un obiettivo, è perchè hai le difese "immunitarie" dell'autostima troppo deboli, e permetti alle voci negative degli invidiosi o dei frustrati di bloccarti, sgonfiarti, schiacciarti.
Di fatto, lasci che siano gli altri a definirti: fatichi per anni per comprarti una moto potente, e nel momento di salirci sopra, afferri per il braccio un perfetto sconosciuto e gli chiedi " ma secondo lei sono adatto a guidarla? ce la farò?". AL DIAVOLO!
Se qualcuno adesso mi chiedesse "su che base devo scegliere quello che voglio fare da grande?" io risponderei solo "l'unico consiglio sensato è non ascoltare nessun consiglio".
C'è troppa spazzatura verbale.
Ho sofferto per due anni di insicurezza cronica, bastava che una voce qualunque di mezzo tono più alta dei miei flebili sussurri parlasse, ed io ero tutta angosciata, demandavo la mia vita ad altri.
Da bambina sapevo di voler scrivere libri, disegnare (in maniera vaga, quindi non necessariamente come mestiere: operaia E autrice di un solo libro in tutta la vita sarebbe andato altrettanto bene) ma sicuramente volevo viaggiare, viaggiare, viaggiare, spostarmi sempre. Ricordo che quando sentii parlare per la prima volta dei medici senza frontiere, leggendo i primi articoli, vedere giovani dottoresse struccate, spettinate, con semplici magliette bianche, vaccinando bambini africani (clichè, clichè, ma "la modella" non lo è?) che visibilmente stanche sorridevano, ho pensato "sì. questo".
E quando la mia maestra d'inglese mi chiese, verso i quattordici anni "Cosa vuoi fare da grande?"
io risposi senza esitazioni "Il medico senza frontiere." E' l'unica volta che la vidi commossa.
Poi fece una cosa che mi è venuta in mente solo a distanza di anni, e nel momento più nero:
mi fece prendere il quaderno e scrivere "When I grow up I want to be a - Julia, how do you say "Frontières"?- Doctor without Borders."
Mi disse che me lo stava facendo scrivere perchè era straordinario che una bambina non volesse fare l'avvocato, l'architetto, la notaio, "quella che fa soldi", ed avesse così chiaro in mente il desiderio di aiutare gli altri.
Voleva che lo scrivessi, e qui la cosa che mi lasciò più perplessa, "perchè non mi dimenticassi quello che volevo".
Pensai che era un po' matta: come diavolo avrei potuto cambiare idea? Il mestiere più bello del mondo! Anche il mio adorato papà sarebbe stato contento, perchè prendersi la briga di scrivere una certezza?
E invece, PER FORTUNA che l'ha fatto. Sono sicura che in cuor suo già sapeva che un giorno ne avrei avuto bisogno. Sapeva che sono tutti pronti a spronarti, quando si tratta di denaro e convenienza, mentre il cuore nobile di una bambina merita qualunque tipo di disprezzo.
Per due anni, nemmeno l'ho provato il test di medicina.
Se lo dico ad alta voce mi convinco di essere pazza: non l'ho NEMMENO provato. Neanche in segreto.
L'ho lasciato passare due volte.
A questo sono riuscita ad arrivare.
Ma un giorno, una semplice frase detta dalla persona più improbabile, mi ha tolto il tappeto sotto i piedi:
"Molto spesso, i limiti che abbiamo sono solo nella nostra mente" ed in quell'istante ho avuto la precisa visione di schiere di anoressiche che si vedono grasse,la mia eterna rabbia di non potermi esprimere appieno per non ferire gli altri con la mia superiorità accademica e la mia maggiore intuitività, sensibilità e capacità di ragionamento.
Una tigre che muore di fame, in una gabbia di cartapesta.
Dopo la prima fase di rabbia assoluta, dove vedevo il mondo come cospiratore nei confronti delle mie incredibili capacità, sono finalmente giunta alla fine dell'autogiustificazione: posso arrabbiarmi perchè stavo affogando in due dita d'acqua, ma dopo aver pestato i piedi, sta solo a me rialzarmi, asciugarmi e riprendere la mia strada. E non farmi mai più sospingere in quelle dita d'acqua,e soprattutto non credere più che ci si può affogare.

E, al di là di tutte le parole, la rabbia, i ragionamenti, bisogna inseguire i propri sogni per un motivo estremamente intuitivo: vivere nel rimpianto, nella paura, nello svilimento di sè, fa schifo.

mercoledì 2 dicembre 2009

Chiedimi se sono felice


C’era una volta una bambina tanto curiosa. Guardando il cielo stellato voleva toccarlo e vedere cosa si nascondeva oltre: voleva diventare un’astronauta. Poi iniziò a viaggiare con i suoi genitori, scoprì l’Egitto e le sue Piramide. La curiosità si trasformò in ricerca: voleva diventare un’archeologa. Passarono gli anni e un giorno alla festa di compleanno di una sua compagna di classe scoprì la musica Pop e le Spice Girls. La voglia di scoperta si mutò in ambizione di successo: voleva diventare una pop stars. Per fortuna la bambina diventò un’adolescente sognatrice. Quei sogni, quando andava al cinema, in quello schermo così grande, diventavano realtà: voleva diventare regista. Quei sogni sembravano rimanere tali e la giovane ragazza doveva intraprendere una strada più sicura e realistica. Non abbandonò i suoi sogni ma li mise un po’ da parte e si iscrisse all’Università: voleva diventare psicologa. 

Ieri quella bambina si è laureata. Festeggiando oggi, insieme a tutti gli altri bambini che insieme a lei hanno raggiunto quell’obbiettivo, ha capito che non importa tanto cosa diventerà da grande: vuole solo essere felice.

domenica 21 giugno 2009

Così è (se vi pare)


Da sempre sono stata una ricercatrice e sostenitrice della Verità oggettiva. Il mondo è pieno di persone che cercano di nasconderla e camuffarla per propri interessi. C'è il fidanzato che non vuole far arrabbiare la propria ragazza, la moglie che non vuol perdere il marito, il politico che per fare gli interessi dei suoi finanziatori (o semplicemente i suoi) finge di fare il bene degli elettori, il venditore di qualunque cosa che ti promette una cosa ma poi ne acquisti un'altra perchè altrimenti perderebbe il lavoro e così via... In questo mondo dove nulla è gratis e tutto ha un prezzo anche le bugie hanno un peso monetario.

Pirandello sosteneva che la Verità non è oggettiva ma che ognuno ha la propria Verità. Presupposto un po' rubato alla psicologia che sosteneva l'impossibilità di studiare la realtà percettiva oggettiva perchè ognuno di noi ne ha esperienza tramite la soggettività dell'esperienza umana (ex. per me la mela rossa ha un sapore ma potrebbe non avere lo stesso sapore per te... come si fa a saperlo?).

Per mio modestissimo parere la vedo come una arresa invece dei fatti di fronte alle parole. I fatti sono le prove della menzogna e portatori di verità. Oggi di fronte alla verità data dalle prove si preferisce ascoltare un fiume di parole e ci si accontenta di questo. Veniamo così bombardati dalle parole e ci dimentichiamo di confrontarle con il vero reale. Che è uno e UNO soltanto. Nel momento in cui ci arrendiamo a tutto questo allora il nostro mondo diventa davvero un mondo soggettivo... ma il soggettivo di un'altro.
p.s. Sembra un post piccolo e senza un significato preciso ma so che i più attenti capiranno...

giovedì 16 aprile 2009

Fantasmi


Siamo esseri che viviamo nell’incertezza. Non sappiamo cosa ci sarà dopo quella scelta, oltre l’ennesima porta aperta, dietro un ostacolo superato. Percorriamo la nostra strada pieni di paure e speranze… cerchiamo di evitare le prime per continuare a sognare le seconde. 

La mia più grande paura, ironia della sorte, sono i fantasmi. Esseri che hai pianto, hai sofferto per la loro assenza, pregato per un loro ritorno ma che poi inesorabilmente hai lasciato alle spalle per andare avanti nel tuo cammino.

Ero andata a Torino per lavoro. Erano parecchi mesi che non ci tornavo. Ne avevo approfittato per vedere alcune amiche che negli anni avevano costruito la loro vita in questa città. Alcune amicizie hanno bisogno di assidue cure per continuare a fiorire e ad essere belle. Invece quelle vere, che sovente risalgono ai tempi del liceo, sono come le piante grasse, ti possono ferire ma basta poco per farle rivivere.

Tornavo da una cena con alcune amiche. Decisi di tornare a piedi per assaporare la freschezza della sera e godere della città illuminata artificialmente. Indossavo uno di quei vestiti lunghi di velluto color blu scuro. Li compro perché sono fantasticamente belli ma poi finisco per indossarli raramente, li trovo troppo eleganti e mai adatti all’occasione. Mancava poco al mio hotel quando presi una stradina che attraversava un piccolo giardino. Gli alberi erano colmi dei frutti della primavera che il vento muoveva appena facendo salire quel profumo di vita che fa battere i cuori e risvegliare gli ormoni. Stavo ancora ripensando alla serata quando ad un tratto lo vidi. Era seduto su una panchina in fondo alla strada che tagliava in due il parchetto. Le braccia reggevano la testa appoggiandosi alle gambe. Piangeva. Era lì fisicamente ma la sua testa era altrove. Fumava ma in modo automatico, come fosse un tic nervoso. Mi bloccai. L’ansia cominciò a circolare dentro di me lasciandomi lì, ferma, senza la lucidità di pensare e agire. La paura seguì da lì a poco. Tremai sentendomi tremendamente ridicola. Ero impotente di fronte al fiume delle mie incontrollabili emozioni. Perché proprio io? Seppur serena ero fragile, con nessuno al mio fianco e nel cuore un sentimento sepolto vivo anni fa. Lui non mi aveva visto ma la sola sua presenza sulla mia strada richiedeva il mio aiuto. Nei sogni tornava nei miei momenti di difficoltà ma nella realtà le parti si invertivano. Vorrei avere la forza e il coraggio di incontrare il mio fantasma, affrontarlo e andare finalmente oltre. Andare in suo soccorso e aiutarlo. Quel giardino seppur fiorito conteneva il cadavere del nostro amore che non sa morire e darsi pace. 

Non ero pronta ad affrontarlo. Mi convinsi che, se ci sarà un’altra volta, sarò più forte. Da codarda quale sono chinai il viso e tornai sui miei passi. Feci il giro largo convinta di essere passata inosservata. Preferisco pensare a quello che poteva essere piuttosto che soffrire per quello che succederà. Qualcun’altra percorrerà quella strada e non temendolo saprà consolare il suo animo affranto.


Butto a terra l’ennesima sigaretta. Le forze per fare qualunque cosa mi mancano. La rabbia mi aveva fatto camminare per tutta la città fino ad abbandonarmi su quella panchina in quel giardino abbandonato a se stesso. Mi lascio qui sofferente ascoltando le mie emozioni urlare e i ricordi ferire quando ad un tratto un rumore di tacchi mi sveglia. Alzo gli occhi e la vedo camminare via. Sembra un angelo vestita con quell’abito lungo e scuro. Vorrei chiamarla, abbracciarla, dirle quanto le voglio bene e quanto mi manca ma non posso farlo. Io per lei non esisto più, io per lei sono morto.

lunedì 23 febbraio 2009

I'm a Hero


Seduta al bancone del bar della stazione osservo il frenetico viavai delle persone. Curiosamente sembrano tutte uguali, se non le conoscessi, potrei pensare che non abbiano un’anima, una loro storia e una loro vita unica che vale la pena di essere salvata.

Sono le 9.15.  Il ghiaccio sul mio martini si sta pian piano sciogliendo e ormai il limone ha donato tutto il suo sapore. M’incuriosisce sempre lo sguardo compassionevole che trovo nel barista quando ordino il mio aperitivo di mattina. La gente vive di apparenza e nel loro mondo sono un’alcolizzata che beve a tutte le ore e non dorme da una vita. Quando ero piccola, dormivo. Ero piena di sogni e desideri, poi sono cresciuta e li ho esauriti. Che senso ha dormire se non si può sognare? Già la realtà è un tale incubo… 

Il momento del martini è sacro. È uno dei pochi momenti della giornata in cui sono io a fermarmi. Ammiro il mio lavoro e progetto per il futuro. Chi sarà il prossimo? Chi può essere salvato? Una coppia mano per la mano sta partendo per un week end fuori porta. Si amano, presto si sposeranno e avranno un bambino. Non hanno bisogno del mio aiuto. Un ragazzo nell’angolo sta attendendo la sua ragazza che studia fuori sede. Anche se finalmente la rivedrà, ha la faccia triste. Vorrei andare da lui e dirgli che soffrirà in futuro ma poi sarà felice, alcune pene vanno vissute e non posso fare nulla per evitarle. Si siede una ragazza di fianco a me e ordina caffè e cornetto. Ci scambiamo un sorriso quasi complice. Lei non lo sa ma rompendole il finestrino, ho evitato che l’altra notte si uccidesse sulla statale.  Finisco il mio martini e le auguro buona giornata. Camminando fra la gente mi riesce meglio di sentire i loro pensieri e sentimenti. Ogni vita vale la pena di essere salvata a patto che non ricada nello stesso errore in futuro. Non posso donare soldi a chi poi li sperpera, la vita a chi ucciderà e l’amore a chi tradirà.  “Sbagliare è umano, perseverare è diabolico” è il mio motto e intendo applicarlo senza distinzione alcuna. Questa è la mia legge e gli uomini seppur diversi sono uguali davanti ad essa.

Ecco il mio uomo. Lo vedo mentre entra in stazione. Mi fermo e mi giro facendo finta di osservare il tabellone delle partenze, so perfettamente che sarà lui a venire da me. Il suo treno è in orario, partirà fra 10 minuti. Sento ogni suo singolo passo finché voltandomi, non è proprio di fianco a me. Alto con i capelli castani è un discreto uomo d’affari sulla trentina. Ha un completo con giacca e cravatta di colore grigio scuro, una ventiquattrore nera e lo sguardo diretto anche lui al grande tabellone.


“Hai per caso una sigaretta da offrirmi?” chiedo io per pura formalità conoscendo ovviamente la risposta.


Lui annuisce senza troppa convinzione e mi porge un pacchetto di Camel con una sola sigaretta dentro.


“Cavoli è l’ultima. Mi dispiace prenderti proprio l’ultima sigaretta. Sicuro di potermela offrire?” chiedo io con fare melodrammatico.


“Certo. Altrimenti avrei risposto di no. Dai, insisto!” risponde lui con rara generosità.


Prendo la sigaretta e gli auguro buona giornata. 

Lui ora si dirigerà verso il treno. Per un gioco di coincidenze e ritardi che ricordano vagamente Sliding Doors, una volta salito non troverà scompartimenti liberi e così noterà Giulia che tutta sola soletta sta leggendo un libro. Giulia ha due anni in meno di lui. Scrive per un giornale e sta andando a trovare suo padre che, cagionevole di salute, si trova fuori città. In quel viaggio i due si conosceranno, innamoreranno e saranno felici. Lei finalmente ha trovato il suo compagno di vita e lui, per lei, smetterà di fumare prima che il fumo lo uccida. Penseranno entrambi che il loro incontro fortuito sia dovuto alla fortuna o al caso.

Io non sono un angelo, cupido o una specie di Dio. Inosservata mi aggiro in questo mondo che non mi appartiene per rimediare, guarire, salvare l’uomo da se stesso. 

Spengo la sigaretta ormai finita e volo via sola perché tra tutte queste anime perse, nel mio essere speciale non ho nessuno con cui condividere questo enorme potere.

sabato 14 febbraio 2009

San Valentino


Imbottigliato nel traffico della Capitale è faticoso non innervosirsi. Difficile sapere quante di queste persone bloccate sulla tangenziale è uscita stasera perché davvero voleva passare una serata romantica con la loro dolce metà e quanti invece, spinti semplicemente da una festa consumistica inutile, l’ha fatto per far felice lei. Inoltre, come tutte le feste che si rispettino, ha la capacità di amplificare e mettere sotto la lente d’ingrandimento ogni nostro sentimento e stato d’animo. I felici e innamorati saranno sempre più felici e innamorati mentre i soli e tristi saranno invasi da una malinconia più forte che mai.

Sul sedile di fianco al mio c’è seduto un simpatico orsacchiotto di peluche che sorridente tiene in mano un palloncino rosso a forma di cuore. Lo so, sembra banale, ma lei impazzisce per queste cose. 

Una volta arrivato parcheggio,suono il campanello e salgo le scale. Alla porta, purtroppo ad attendermi, c’è la madre. Visivamente affannata perché in ritardo, mi accoglie con un sorriso e si dispiace di non potersi trattenere con me ma il compagno, l’ennesimo dopo la rottura con il marito, arriverà a momenti. Inutile dire che del compagno non me ne freghi molto.

Sara è in camera sua che si mette il cappotto ed è prontissima per uscire. Le chiedo scherzando:


“Ma per quale principe azzurro ti sei fatta così bella?”

“Stasera io sono cenerentola e tu il mio amato principino. Visto che vestito?” risponde lei dondolandosi allegra.


Io senza parole l’ammiro estasiato. Riesce sempre a stupirmi e a farmi innamorare di lei come la prima volta. E’ da 7 anni che è entrata nella mia vita, finché certe cose non le provi e non le vivi non puoi mai sapere quanto bene ti può dare un amore. 

Salutiamo sua madre sempre più occupata nell’agghindarsi a festa e usciamo.

In macchina, al suo fianco, il viaggio è tutta un’altra cosa. Cantiamo le nostre canzoni preferite. Lei divertita gioca allegramente con il peluche a cui prontamente è stato dato un nome: Cucciolo, perché piccolo e tenero. Lo fa saltare, ballare e persino parlare in modo buffo.

Ogni volta che andiamo al cinema il programma è tanto semplice quanto gustoso: pizza + coca-cola + popcorn + film. Non è il massimo per la salute ma è un vizio settimanale che ci prendiamo volentieri.

Così ci troviamo seduti al tavolo con i nostri pezzi di pizza e una mega coca-cola. Lei mi parla un po’ della scuola, del compagno di classe che le fa la corte ma non le piace e di quanto sia migliorata a pallavolo. Mi ritrovo sollevato nel sapere che lei non ricambia i sentimenti però sempre geloso della sua presenza costante in classe sua. I maschi son pur sempre maschi: mai fidarsi di loro. 

Il film prescelto è d’avventura, simpatico e per niente pesante. Gli horror e le commedie sentimentali sono banditi dal nostro accordo. Le prime da lei, le seconde da me. Nonostante i film paurosi siano eliminati, lei riesce a “saltare” sulla sedia per ogni rumore improvviso cosa che la rende fantasticamente dolce e tenera. 

Usciti dal cinema, decido di fare una piccola aggiunta al nostro gustoso programma:


“Ti andrebbe ancora un gelato prima di andare a casa?” Chiedo convinto di una risposta affermativa.


Non so se per la concessione di un gelato, magari per il film appena visto o per la sera particolare di festa lei si gira e mi dice:


“Papà, ti voglio bene!”


Io sorrido, la prendo in braccio e la porto a prendere il mega gelato.

Non è la festa a rendere speciale un amore, solo l’amore può rendere speciale una festa.