giovedì 16 aprile 2009

Fantasmi


Siamo esseri che viviamo nell’incertezza. Non sappiamo cosa ci sarà dopo quella scelta, oltre l’ennesima porta aperta, dietro un ostacolo superato. Percorriamo la nostra strada pieni di paure e speranze… cerchiamo di evitare le prime per continuare a sognare le seconde. 

La mia più grande paura, ironia della sorte, sono i fantasmi. Esseri che hai pianto, hai sofferto per la loro assenza, pregato per un loro ritorno ma che poi inesorabilmente hai lasciato alle spalle per andare avanti nel tuo cammino.

Ero andata a Torino per lavoro. Erano parecchi mesi che non ci tornavo. Ne avevo approfittato per vedere alcune amiche che negli anni avevano costruito la loro vita in questa città. Alcune amicizie hanno bisogno di assidue cure per continuare a fiorire e ad essere belle. Invece quelle vere, che sovente risalgono ai tempi del liceo, sono come le piante grasse, ti possono ferire ma basta poco per farle rivivere.

Tornavo da una cena con alcune amiche. Decisi di tornare a piedi per assaporare la freschezza della sera e godere della città illuminata artificialmente. Indossavo uno di quei vestiti lunghi di velluto color blu scuro. Li compro perché sono fantasticamente belli ma poi finisco per indossarli raramente, li trovo troppo eleganti e mai adatti all’occasione. Mancava poco al mio hotel quando presi una stradina che attraversava un piccolo giardino. Gli alberi erano colmi dei frutti della primavera che il vento muoveva appena facendo salire quel profumo di vita che fa battere i cuori e risvegliare gli ormoni. Stavo ancora ripensando alla serata quando ad un tratto lo vidi. Era seduto su una panchina in fondo alla strada che tagliava in due il parchetto. Le braccia reggevano la testa appoggiandosi alle gambe. Piangeva. Era lì fisicamente ma la sua testa era altrove. Fumava ma in modo automatico, come fosse un tic nervoso. Mi bloccai. L’ansia cominciò a circolare dentro di me lasciandomi lì, ferma, senza la lucidità di pensare e agire. La paura seguì da lì a poco. Tremai sentendomi tremendamente ridicola. Ero impotente di fronte al fiume delle mie incontrollabili emozioni. Perché proprio io? Seppur serena ero fragile, con nessuno al mio fianco e nel cuore un sentimento sepolto vivo anni fa. Lui non mi aveva visto ma la sola sua presenza sulla mia strada richiedeva il mio aiuto. Nei sogni tornava nei miei momenti di difficoltà ma nella realtà le parti si invertivano. Vorrei avere la forza e il coraggio di incontrare il mio fantasma, affrontarlo e andare finalmente oltre. Andare in suo soccorso e aiutarlo. Quel giardino seppur fiorito conteneva il cadavere del nostro amore che non sa morire e darsi pace. 

Non ero pronta ad affrontarlo. Mi convinsi che, se ci sarà un’altra volta, sarò più forte. Da codarda quale sono chinai il viso e tornai sui miei passi. Feci il giro largo convinta di essere passata inosservata. Preferisco pensare a quello che poteva essere piuttosto che soffrire per quello che succederà. Qualcun’altra percorrerà quella strada e non temendolo saprà consolare il suo animo affranto.


Butto a terra l’ennesima sigaretta. Le forze per fare qualunque cosa mi mancano. La rabbia mi aveva fatto camminare per tutta la città fino ad abbandonarmi su quella panchina in quel giardino abbandonato a se stesso. Mi lascio qui sofferente ascoltando le mie emozioni urlare e i ricordi ferire quando ad un tratto un rumore di tacchi mi sveglia. Alzo gli occhi e la vedo camminare via. Sembra un angelo vestita con quell’abito lungo e scuro. Vorrei chiamarla, abbracciarla, dirle quanto le voglio bene e quanto mi manca ma non posso farlo. Io per lei non esisto più, io per lei sono morto.