domenica 1 maggio 2011

50 giorni


Buffo come tutto sia iniziato. Ricordo esattamente il momento in cui sei entrato nella mia vita. Eri una persona tra altre centinaia eppure è bastato un contatto e ti ho riconosciuto. Se penso a tutta la serie di circostanze che ci hanno portato a conoscerci potrei pensare che sia stato il destino ma noi non amiamo chiamarlo così.

Abbiamo passato serate a guardare film, ognuno chiuso nella propria stanza a km di distanza e, senza rendercene conto, ne abbiamo creato uno tutto nostro…
Quel giorno mi svegliai prestissimo. Quando sono agitata accade spesso. Cercai di rilassarmi guardando un film. Piansi alla fine. Aveva un finale davvero triste. Il tempo scorreva lentamente, l’ora del nostro primo appuntamento si avvicinava e ogni minuto che passava mi sentivo sempre peggio. L’ansia pian piano prendeva ogni mio singolo organo interno e lo faceva lavorare al contrario così da non lasciarmi persino mangiare o bere. Sapevo che sarebbe accaduto ma ero comunque restia a prendere farmaci per placarla. Mi faceva star male ma, in un certo senso, mi faceva sentire anche viva. Era il lato oscuro di quello che provavo e senza mi sarei sentita vuota. Con grande sforzo mi preparai e, già in ritardo, partii per Torino.
Era una domenica di fine maggio. Per fortuna c’era un sole pallido su tutta Torino che allontanava, ancora per qualche giorno, quelle soffocanti giornate afose estive. Nell’auto suonavano i Perturbazione, come spesso accadeva in quel periodo:

"Non ho capito mai
amo l’oceano
perché dietro a un tesoro c’è un naufragio..."


Parcheggiai la macchina e ti vidi.Eri seduto sulle gradinate di Palazzo Nuovo e fissavi il vuoto aspettandomi. Portavi quegli occhiali da sole grandi a goccia che vanno tanto di moda. Ricordavi un po’ Al Pacino in quel film dove cerca di fare il buono, di tenersi fuori dal giro per realizzare il suo sogno e, proprio ad un passo dal realizzarlo, viene ucciso. Io senza farmi vedere mi sedetti al tuo fianco. Come se nulla fosse iniziammo a parlare del più e del meno. Ero agitata e i miei tentativi di mascherarlo andavano a vuoto. Ero un Woody Allen che, cercando di far colpo, finisce per sbagliarle tutte. Andammo quel giorno a far visita al museo del Cinema: tra locandine, filmati, pezzi da collezione.. insomma immersa nel mondo che tanto amavo un po’ riuscii a rilassarmi e ad ammirarti. Eri una persona gentile, sicuramente molto timida e calma, sapevi essere simpatico con intelligenza e, per fortuna, non eri invadente. Quando arrivammo al salone centrale rimasi impressionata dai colori caldi e dalla sua grandezza. C’era una pedana che saliva tutta intorno finendo in cima. Ai lati c’erano delle piccole stanze che sembravano dei piccoli cinema del secondo dopoguerra. Nessuno dei visitatori sembrava curarsene tanto. Ricordo di aver pensato quanto sarebbe stato bello sedersi lì a guardare un pezzo di un film e infine baciarti. Sarebbe stato così semplice e romantico. Purtroppo la semplicità non era una nostra qualità e quel piacere fu rimandato ad una mattina d’estate quando ormai rinviare non era più possibile. 


Inutile negarlo. La nostra storia fu un disastro. Di quelli che non ti aspetti perché pensi, laddove ci sia attrazione e sentimento, non possa che andare bene. Eppure il poter cantare a squarciagola canzoni d’amore senza quel peso sul cuore, sentire il tuo abbraccio, una notte, mentre dormivo, le telefonate, le attese… il vivere e sentirsi vivi, finalmente, dopo tanto. Sembra banale ma per una come me, che della solitudine ne ha fatto una felice condanna, è stato speciale vivere anche solo l’illusione di un amore.
Anche solo per 50 giorni. 

Perturbazione - Il Palombaro

mercoledì 20 aprile 2011

Il futuro sostenibile


Avevo, quasi 5 anni fa, pubblicato in un altro blog questo post:

Avete mai sentito un bambino che vuole fare l’impiegato o l’operaio o la segretaria da grande? Tutti futuri attori, pompieri, archeologici, astronauti, giornalisti, calciatori… e poi che succede? Alcuni direbbero che si cresce e si diventa più maturi, responsabili (anche noiosi) e si puntano mete più “realistiche”; e quindi vedi un cantante famoso allo sportello della posta o un ballerino della scala di Milano ristrutturare la tua casa poco fuori città. Li vedi tutti belli sorridenti mentre ricordano cosa si pensava di poter essere nel mondo degli adulti. Io mi chiedo ma perché ad un certo punto della vita si è smesso di sognare? Perché non si è coltivato quel sogno almeno per un po’?…magari scegliendo una scuola idonea o anche solo pensandoci fino all’ultimo che fosse possibile? Noi ci lamentiamo che la felicità è qualcosa di difficile da raggiungere, ma se non dimentichiamo cosa vuol dire sognare, non lo saremo mai veramente.
Io un giorno comprerò la dreamworks e voi?

“Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.” – Pablo Neruda”

Lust For Life - Iggy Pop


Oggi per caso ci ricapito (mi ero pure dimenticata di averlo fatto) e mi trovo questo bellissimo commento che voglio condividere con voi. Ringrazio di cuore l'anonima autrice e spero che qualcuno ne tragga profitto.

Chissà se lo leggerai...
comunque questo post rispecchia esattamente quello che penso.
Non nego che possano esistere degli impedimenti oggettivi (volevi scalare le montagne e ti hanno dovuto amputare un braccio; volevi diventare un cantante e ti hanno rimosso le corde vocali; volevi essere puntuale ad un appuntamento, ma ti hanno investito; vorresti mangiare della pasta decente ma sei a Londra ;) )
ma affermo con tutte le mie forze che nella stragrande maggioranza dei casi, l'unico motivo per cui ti blocchi a metà strada verso un obiettivo, è perchè hai le difese "immunitarie" dell'autostima troppo deboli, e permetti alle voci negative degli invidiosi o dei frustrati di bloccarti, sgonfiarti, schiacciarti.
Di fatto, lasci che siano gli altri a definirti: fatichi per anni per comprarti una moto potente, e nel momento di salirci sopra, afferri per il braccio un perfetto sconosciuto e gli chiedi " ma secondo lei sono adatto a guidarla? ce la farò?". AL DIAVOLO!
Se qualcuno adesso mi chiedesse "su che base devo scegliere quello che voglio fare da grande?" io risponderei solo "l'unico consiglio sensato è non ascoltare nessun consiglio".
C'è troppa spazzatura verbale.
Ho sofferto per due anni di insicurezza cronica, bastava che una voce qualunque di mezzo tono più alta dei miei flebili sussurri parlasse, ed io ero tutta angosciata, demandavo la mia vita ad altri.
Da bambina sapevo di voler scrivere libri, disegnare (in maniera vaga, quindi non necessariamente come mestiere: operaia E autrice di un solo libro in tutta la vita sarebbe andato altrettanto bene) ma sicuramente volevo viaggiare, viaggiare, viaggiare, spostarmi sempre. Ricordo che quando sentii parlare per la prima volta dei medici senza frontiere, leggendo i primi articoli, vedere giovani dottoresse struccate, spettinate, con semplici magliette bianche, vaccinando bambini africani (clichè, clichè, ma "la modella" non lo è?) che visibilmente stanche sorridevano, ho pensato "sì. questo".
E quando la mia maestra d'inglese mi chiese, verso i quattordici anni "Cosa vuoi fare da grande?"
io risposi senza esitazioni "Il medico senza frontiere." E' l'unica volta che la vidi commossa.
Poi fece una cosa che mi è venuta in mente solo a distanza di anni, e nel momento più nero:
mi fece prendere il quaderno e scrivere "When I grow up I want to be a - Julia, how do you say "Frontières"?- Doctor without Borders."
Mi disse che me lo stava facendo scrivere perchè era straordinario che una bambina non volesse fare l'avvocato, l'architetto, la notaio, "quella che fa soldi", ed avesse così chiaro in mente il desiderio di aiutare gli altri.
Voleva che lo scrivessi, e qui la cosa che mi lasciò più perplessa, "perchè non mi dimenticassi quello che volevo".
Pensai che era un po' matta: come diavolo avrei potuto cambiare idea? Il mestiere più bello del mondo! Anche il mio adorato papà sarebbe stato contento, perchè prendersi la briga di scrivere una certezza?
E invece, PER FORTUNA che l'ha fatto. Sono sicura che in cuor suo già sapeva che un giorno ne avrei avuto bisogno. Sapeva che sono tutti pronti a spronarti, quando si tratta di denaro e convenienza, mentre il cuore nobile di una bambina merita qualunque tipo di disprezzo.
Per due anni, nemmeno l'ho provato il test di medicina.
Se lo dico ad alta voce mi convinco di essere pazza: non l'ho NEMMENO provato. Neanche in segreto.
L'ho lasciato passare due volte.
A questo sono riuscita ad arrivare.
Ma un giorno, una semplice frase detta dalla persona più improbabile, mi ha tolto il tappeto sotto i piedi:
"Molto spesso, i limiti che abbiamo sono solo nella nostra mente" ed in quell'istante ho avuto la precisa visione di schiere di anoressiche che si vedono grasse,la mia eterna rabbia di non potermi esprimere appieno per non ferire gli altri con la mia superiorità accademica e la mia maggiore intuitività, sensibilità e capacità di ragionamento.
Una tigre che muore di fame, in una gabbia di cartapesta.
Dopo la prima fase di rabbia assoluta, dove vedevo il mondo come cospiratore nei confronti delle mie incredibili capacità, sono finalmente giunta alla fine dell'autogiustificazione: posso arrabbiarmi perchè stavo affogando in due dita d'acqua, ma dopo aver pestato i piedi, sta solo a me rialzarmi, asciugarmi e riprendere la mia strada. E non farmi mai più sospingere in quelle dita d'acqua,e soprattutto non credere più che ci si può affogare.

E, al di là di tutte le parole, la rabbia, i ragionamenti, bisogna inseguire i propri sogni per un motivo estremamente intuitivo: vivere nel rimpianto, nella paura, nello svilimento di sè, fa schifo.