Mi sono fottutamente innamorato. Lei Molly io Duckie. Più un soprannome il mio, che un nome. Me lo sono inflitto per ricordarmi la follia di amare l’unica persona che forse mai potrà ricambiare tutto questo. L’unica persona che voglio al mio fianco. L’unica che mi capisce veramente. La madre che vorrei per i miei figli. L’unica a cui non posso rinunciare. L’unica davvero importante. La mia migliore amica Molly appunto…
Era una di quelle giornate dove a Roma piove e sembra non smettere mai, quando piove talmente forte che la pioggia acquista un fascino nuovo perché prevale sull’uomo e sulla città. Io seduto nella penultima fila dell’aula magna fissavo la cattedra con aria assente, da chi è lì solo per non sentirsi in colpa.
Lei entrò tutto di un colpo. Mi girai solo distratto dal rumore brusco della porta. Non la notai subito. Notai solo i suoi capelli e i suoi vestiti bagnati dall’acqua mentre lei cercava di sistemarli alla meno peggio. Sarei sicuramente tornato ai miei pensieri se lei, in un'aula decisamente non affollata, non avesse deciso di sedersi proprio di fianco a me. Le donai un sorriso e lei si presentò.
“Piacere: Molly. Scusa ma detesto gli ombrelli e odio Genetica.”
Non che io amassi particolarmente la materia, ma da quel giorno lei si sedette tutte le lezioni vicino a me. Passarono gli esami, i semestri, gli anni. Lei mi raccontava tutto. Ero la spalla su cui piangere quando si sentiva sola. Il compagno da chiamare per una birra o un concerto imperdibile. L’amico che l’ha consolata quando tra lei e l’uomo che amava è finita. Io, invece, tenevo tutto dentro. Avevo paura di rovinare il nostro rapporto e attendevo invano il momento perfetto per realizzare il mio sogno. Ma arriva un giorno in cui ti accorgi che non hai più niente da perdere. Quel giorno fu la sua laurea. Sapevo che non era sua intenzione continuare i suoi studi a Roma, anche se temendo la mia reazione, aveva cercato di nascondermelo.
Arrivai tardi alla sua festa per via del lavoro al Pub. Nonostante l’ora, casa sua era ancora gremita di persone più o meno ubriache che ballavano e parlavano allegramente. La cercai tra le camere, ignorando i vari colleghi lì riuniti per l’occasione. Finalmente la vidi. Quel vestito a fiori le donava una bellezza nuova che lei raramente mostrava. Era vistosamente brilla. La vidi flirtare con un ragazzo mai visto prima forse poco più grande di lei. La rosa bianca mi cadde dalle mani. Non so cosa mi prese. Non seppi resistere a quella scena. Non mi andava di fingere. Non quella sera. Tornai per strada, dove potevo urlare e sfogare la mia sofferenza con la rabbia. Presi a camminare senza fermarmi. Pensavo a tutti i momenti belli passati insieme, alle risate, i nostri film preferiti, i concerti passati a ballare in modo stupido, i viaggi in macchina con il volume dello stereo a tutto volume, il nostro cantare per strada, il cornetto alle 3 prima di andare a casa e le serate passate con birra e sigaretta. Ci pensai proprio quando arrivai al nostro muretto, di fronte al Colosseo. Ci salii sopra. Intorno a me potevo sentire i rumori di una Roma che si svegliava alle prime luci dell’alba. Chiusi gli occhi.
Give me strength, reserve control Give me heart and give me soul Give me love give us a kiss...
La nostra canzone. Quelle parole e quelle note si ripetevano nella mia testa come un disco rotto. Ero bloccato dalla paura e pieno di pensieri. Immaginavo come sarebbe stato un suo bacio, noi due mano nella mano, lo svegliarmi al suo fianco la mattina e l’abbracciarla sussurrandole appena “Ti amo”. Stavo perdendo tutto. Il timore di perderla la stava allontanando da me e io non potevo fare altro che affrontare la mia ossessione che in quella notte decisi di trasformare in follia.
And give me love over, love over, love over this And give me love over, love over, love over this…
Saltai giù e corsi. Corsi forte per non farmi raggiungere dalla paura che, presa alla sprovvista, avevo lasciato sorpresa su quel muretto. Corsi a perdifiato per le vie antiche della città. Ero sollevato, felice perché mi stavo levando il peso di un amore nascosto. Stavo finalmente affrontando la mia più grande paura dietro la quale si trovava la vera felicità. Se non ti butti nel vuoto come puoi volare? Come puoi dire di aver vissuto davvero se prima non sei disposto a rischiare il tuo bene più grande per il tuo sogno? Correvo trascinato dall’adrenalina che mi scorreva nel sangue. Davanti a me solo lei e il veloce conto alla rovescia ti passi, metri e strade che ci separavano. Volevo esploderle davanti con tutto il mio amore per poi lasciarle, in pace la scelta di prendermi una volta stella. Non sentivo più la fatica, la paura, la malinconia, non mi importava più di nulla. Arrivato al suo portone volevo solo abbandonarmi a lei, e morire tra le sue braccia.
Il resto non è il caso che ve lo racconti perché è storia.
Ogni Duckie ha il suo giorno.