lunedì 23 febbraio 2009

I'm a Hero


Seduta al bancone del bar della stazione osservo il frenetico viavai delle persone. Curiosamente sembrano tutte uguali, se non le conoscessi, potrei pensare che non abbiano un’anima, una loro storia e una loro vita unica che vale la pena di essere salvata.

Sono le 9.15.  Il ghiaccio sul mio martini si sta pian piano sciogliendo e ormai il limone ha donato tutto il suo sapore. M’incuriosisce sempre lo sguardo compassionevole che trovo nel barista quando ordino il mio aperitivo di mattina. La gente vive di apparenza e nel loro mondo sono un’alcolizzata che beve a tutte le ore e non dorme da una vita. Quando ero piccola, dormivo. Ero piena di sogni e desideri, poi sono cresciuta e li ho esauriti. Che senso ha dormire se non si può sognare? Già la realtà è un tale incubo… 

Il momento del martini è sacro. È uno dei pochi momenti della giornata in cui sono io a fermarmi. Ammiro il mio lavoro e progetto per il futuro. Chi sarà il prossimo? Chi può essere salvato? Una coppia mano per la mano sta partendo per un week end fuori porta. Si amano, presto si sposeranno e avranno un bambino. Non hanno bisogno del mio aiuto. Un ragazzo nell’angolo sta attendendo la sua ragazza che studia fuori sede. Anche se finalmente la rivedrà, ha la faccia triste. Vorrei andare da lui e dirgli che soffrirà in futuro ma poi sarà felice, alcune pene vanno vissute e non posso fare nulla per evitarle. Si siede una ragazza di fianco a me e ordina caffè e cornetto. Ci scambiamo un sorriso quasi complice. Lei non lo sa ma rompendole il finestrino, ho evitato che l’altra notte si uccidesse sulla statale.  Finisco il mio martini e le auguro buona giornata. Camminando fra la gente mi riesce meglio di sentire i loro pensieri e sentimenti. Ogni vita vale la pena di essere salvata a patto che non ricada nello stesso errore in futuro. Non posso donare soldi a chi poi li sperpera, la vita a chi ucciderà e l’amore a chi tradirà.  “Sbagliare è umano, perseverare è diabolico” è il mio motto e intendo applicarlo senza distinzione alcuna. Questa è la mia legge e gli uomini seppur diversi sono uguali davanti ad essa.

Ecco il mio uomo. Lo vedo mentre entra in stazione. Mi fermo e mi giro facendo finta di osservare il tabellone delle partenze, so perfettamente che sarà lui a venire da me. Il suo treno è in orario, partirà fra 10 minuti. Sento ogni suo singolo passo finché voltandomi, non è proprio di fianco a me. Alto con i capelli castani è un discreto uomo d’affari sulla trentina. Ha un completo con giacca e cravatta di colore grigio scuro, una ventiquattrore nera e lo sguardo diretto anche lui al grande tabellone.


“Hai per caso una sigaretta da offrirmi?” chiedo io per pura formalità conoscendo ovviamente la risposta.


Lui annuisce senza troppa convinzione e mi porge un pacchetto di Camel con una sola sigaretta dentro.


“Cavoli è l’ultima. Mi dispiace prenderti proprio l’ultima sigaretta. Sicuro di potermela offrire?” chiedo io con fare melodrammatico.


“Certo. Altrimenti avrei risposto di no. Dai, insisto!” risponde lui con rara generosità.


Prendo la sigaretta e gli auguro buona giornata. 

Lui ora si dirigerà verso il treno. Per un gioco di coincidenze e ritardi che ricordano vagamente Sliding Doors, una volta salito non troverà scompartimenti liberi e così noterà Giulia che tutta sola soletta sta leggendo un libro. Giulia ha due anni in meno di lui. Scrive per un giornale e sta andando a trovare suo padre che, cagionevole di salute, si trova fuori città. In quel viaggio i due si conosceranno, innamoreranno e saranno felici. Lei finalmente ha trovato il suo compagno di vita e lui, per lei, smetterà di fumare prima che il fumo lo uccida. Penseranno entrambi che il loro incontro fortuito sia dovuto alla fortuna o al caso.

Io non sono un angelo, cupido o una specie di Dio. Inosservata mi aggiro in questo mondo che non mi appartiene per rimediare, guarire, salvare l’uomo da se stesso. 

Spengo la sigaretta ormai finita e volo via sola perché tra tutte queste anime perse, nel mio essere speciale non ho nessuno con cui condividere questo enorme potere.

sabato 14 febbraio 2009

San Valentino


Imbottigliato nel traffico della Capitale è faticoso non innervosirsi. Difficile sapere quante di queste persone bloccate sulla tangenziale è uscita stasera perché davvero voleva passare una serata romantica con la loro dolce metà e quanti invece, spinti semplicemente da una festa consumistica inutile, l’ha fatto per far felice lei. Inoltre, come tutte le feste che si rispettino, ha la capacità di amplificare e mettere sotto la lente d’ingrandimento ogni nostro sentimento e stato d’animo. I felici e innamorati saranno sempre più felici e innamorati mentre i soli e tristi saranno invasi da una malinconia più forte che mai.

Sul sedile di fianco al mio c’è seduto un simpatico orsacchiotto di peluche che sorridente tiene in mano un palloncino rosso a forma di cuore. Lo so, sembra banale, ma lei impazzisce per queste cose. 

Una volta arrivato parcheggio,suono il campanello e salgo le scale. Alla porta, purtroppo ad attendermi, c’è la madre. Visivamente affannata perché in ritardo, mi accoglie con un sorriso e si dispiace di non potersi trattenere con me ma il compagno, l’ennesimo dopo la rottura con il marito, arriverà a momenti. Inutile dire che del compagno non me ne freghi molto.

Sara è in camera sua che si mette il cappotto ed è prontissima per uscire. Le chiedo scherzando:


“Ma per quale principe azzurro ti sei fatta così bella?”

“Stasera io sono cenerentola e tu il mio amato principino. Visto che vestito?” risponde lei dondolandosi allegra.


Io senza parole l’ammiro estasiato. Riesce sempre a stupirmi e a farmi innamorare di lei come la prima volta. E’ da 7 anni che è entrata nella mia vita, finché certe cose non le provi e non le vivi non puoi mai sapere quanto bene ti può dare un amore. 

Salutiamo sua madre sempre più occupata nell’agghindarsi a festa e usciamo.

In macchina, al suo fianco, il viaggio è tutta un’altra cosa. Cantiamo le nostre canzoni preferite. Lei divertita gioca allegramente con il peluche a cui prontamente è stato dato un nome: Cucciolo, perché piccolo e tenero. Lo fa saltare, ballare e persino parlare in modo buffo.

Ogni volta che andiamo al cinema il programma è tanto semplice quanto gustoso: pizza + coca-cola + popcorn + film. Non è il massimo per la salute ma è un vizio settimanale che ci prendiamo volentieri.

Così ci troviamo seduti al tavolo con i nostri pezzi di pizza e una mega coca-cola. Lei mi parla un po’ della scuola, del compagno di classe che le fa la corte ma non le piace e di quanto sia migliorata a pallavolo. Mi ritrovo sollevato nel sapere che lei non ricambia i sentimenti però sempre geloso della sua presenza costante in classe sua. I maschi son pur sempre maschi: mai fidarsi di loro. 

Il film prescelto è d’avventura, simpatico e per niente pesante. Gli horror e le commedie sentimentali sono banditi dal nostro accordo. Le prime da lei, le seconde da me. Nonostante i film paurosi siano eliminati, lei riesce a “saltare” sulla sedia per ogni rumore improvviso cosa che la rende fantasticamente dolce e tenera. 

Usciti dal cinema, decido di fare una piccola aggiunta al nostro gustoso programma:


“Ti andrebbe ancora un gelato prima di andare a casa?” Chiedo convinto di una risposta affermativa.


Non so se per la concessione di un gelato, magari per il film appena visto o per la sera particolare di festa lei si gira e mi dice:


“Papà, ti voglio bene!”


Io sorrido, la prendo in braccio e la porto a prendere il mega gelato.

Non è la festa a rendere speciale un amore, solo l’amore può rendere speciale una festa.

lunedì 9 febbraio 2009

Cosa non si inventano...



Hanno inventato i confini, hanno inventato le religioni, hanno inventato la burocrazia, hanno inventato i documenti, hanno inventato la comunità europea, hanno inventato il lavoro regolamentato… per poi inventare la parola clandestino, extracomunitario per sfruttarli, maltrattarli e infine cacciarli.                                                

Un ragazzo che nasce a Milano ha gli stessi diritti e doveri di uno che nasce a Bari piuttosto che a Rabat o Tirana. Ha diritto di avere di cui mangiare, dormire, istruzione, giustizia e assistenza sanitaria e il dovere di rispettare la gente e la terra che gli offre queste cose, sia che essa sia la sua gente o che si trovi in un’altra cultura. Questo vale sia per il milanese, che per il barese, marocchino e infine albanese.

L’uomo dovrebbe inventare “cose” per rendere la vita migliore non per togliere libertà e creare odio. 

Bei tempi in cui gente come Marconi, Edison, i fratelli Wright e Leonardo Da Vinci inventavano cose davvero uniti all’umanità…


“Me dicen
el clandestino

Por no llevar papel

Pa' una ciudad
del norte

Yo me fui a trabajar

Mi vida la deje

Entre Ceuta
y Gibraltar

Soy una raya
en el mar

Fantasma
en la ciudad

Mi vida va prohibida

Dice la autoridad”


Clandestino – Manu Chao